...IN QUESTO CONTESTO
Carmelo Romeo
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 4 dicembre 2010
IL POVERO SIGNOR PEEL
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É anche possibile che abbiamo frainteso il senso e la sostanza dell’intero testo della Hollier.1
Tuttavia…
in questo contesto piuttosto di attenersi all’argomento, qualcuno ha pensato bene di preoccuparsi della salute di Dio.
E se è vero che quanto si mette in Dio si toglie all’uomo, è anche vero il contrario: che quanto si mette nell’uomo si toglie a Dio.
Così – se abbiamo capito bene e non ci ha tradito la traduzione dall’inglese di un brano isolato – qualcuno2 si è sentito mancare, e ha preferito convincersi che ai surrealisti la questione del colonialismo serviva solo a decorare la polemica con una patina di estrema sinistra3 dietro la quale dissimulare un “ossessivo e spietato anticle-ricalismo”, una avversione per la religione se non addirittura per il sacro.4
Difatti, dopo aver  approvato i roghi delle chiese cattoliche in Spagna5, i surrealisti si rammaricano per la perdita di cimeli primitivi nell’incendio del padiglione delle Indie Olandesi.
Quindi, tanto per “giustificare” questa condotta ambigua e togliersi dall’imbarazzo, avrebbero usato argomenti inconsistenti, contraddittori o illogici.6
Basterebbe leggere i volantini surrealisti per capire che i loro argomenti sono al contrario frutto di una visione più evoluta e complessa di quella che porta al risentimento anticlericale, residuale della lotta tra gli Ordini dei vecchi Stati preborghesi e precapitalisti. Basterebbe leggere…
E nondimeno su questi argomenti vogliamo intrattenerci un po’.

1.

Gli oggetti d’arte non verrebbero valutati con gli stessi criteri, a secondo della loro provenienza da un paese colonizzatore o colonizzato.7
Alla “discriminazione positiva”8 dei surrealisti nei confronti dell’arte primitiva si intende contrapporre un’indiscriminata parificazione degli incendi e degli oggetti sacri.
Dopo aver applaudito ai falò spagnoli, perché non fare lo stesso con l’incendio del padiglione coloniale? Inoltre, in ambedue i casi si trattava della distruzione di oggetti religiosi".9

La questione posta in questi termini suppone necessariamente che opere d’arte o oggetti religiosi provenienti dai paesi colonizzati sono da considerare alla stessa stregua di quelli prove-niente dai paesi colonizzatori; e che pertanto dovrebbero o tutti venir salvati o tutti dati alle fiamme.
Ora immaginate di applicare una tale “logica” ai fossili geologici per valutarli tutti nello stesso modo, indipendentemente dallo strato sedimentale da cui provengono, e ditemi dove andrebbe a cacciarsi la paleontologia in particolare e la scienza in generale
I surrealisti tennero subito conto delle obiezioni che potevano derivare dal loro discriminante (dialettico?) atteggiamento, provocatoriamente semplificato nell’idea che “non tutti gli incendi sono uguali”.10
Precisamente come i nemici dei nazionalismi si trovano oggi a difendere il nazionalismo degli oppressi, così i nemici dell’arte prodotta dall’economia capitalistica devono dialetticamente opporre ad essa l’arte degli oppressi”.11
L’analogia tra arte e nazionalismo così proposta dai surrealisti, non è affatto difficile da vedere, come è stato detto.
Assolutamente pertinente alle circostanze parigine (il colonialismo), questa analogia fornisce risposte a diverse questioni. 
Il nazionalismo, rivoluzionario nel periodo della formazione delle nazioni occidentali moderne, dopo aver realizzato il suo compito storico può permanere come un fattore di conservazione e reazione, passibile di rovesciarsi addirittura in antinazionalismo, quando si tratta della nazione degli altri.
Difatti, appena le spinte economiche e le forze militari glielo consentono, il nazionalismo si mette facilmente al servizio dell’espansionismo, del colonialismo e dell’imperialismo del proprio paese.
Chi, “europeo internazionalista” (come si è preferito definire “questi” surrealisti, piuttosto che  comunisti) riterrebbe coerente non riconoscere il diritto all’indipendenza nazionale dei paesi colonizzati in virtù del proprio antinazionalismo, non si troverebbe forse schierato, teoricamente e praticamente, al fianco dell’opportunismo nazionale e dello sciovinismo predatorio degli Stati colonizzatori?
E’ questo che si voleva dai surrealisti, allora? che si vuole dagli occidentalisti, oggi?
Una volta avvicinati i termini di arte e nazionalismo, se ancora qualcuno sostenesse che tutti gli oggetti d’arte devono valutarsi con un unico criterio da qualsiasi parte del mondo provengano, deve arrivare a sostenere che anche del nazionalismo occorre dare una unica valutazione: approvarlo o respingerlo; la sua istanza provenga da un paese oppresso o da uno Stato oppressore.
Solo la malafede non riesce a vedere che l’analogia di ordine “politico” è servita ai surrealisti non per “giustificare” ma per chiarire come cose “logicamente” identiche (il nazionalismo, le opere d’arte o gli incendi) possono “dialetticamente” essere cose molto diverse tra loro, e richiedere di conseguenza valutazioni e condotte differenziate, addirittura antitetiche, così nei confronti delle opere d’arte, degli oggetti sacri, come delle loro combustioni (fortuite o provocate).
Inoltre, ai fini di una valutazione complessiva dell’azione surrealista nei confronti di questa Esposizione, è sostanziale tener presente che sono proprio i componenti di un popolo colonizzatore a schierarsi contro gli interessi della propria nazione, affianco dei popoli colonizzati e della loro arte.12

2.

L’arte del popolo oppresso è necessariamente antecedente alla sua oppressione, quindi non può essere considerata come risposta all’oppressione”.13
L’anticolonialismo è necessariamente contemporaneo o posteriore al colonialismo, mentre l’arte primitiva lo precede; quindi le due cose non possono mettersi sul medesimo piano (crono-logico) per misurarle tra loro, come invece hanno fatto i surrealisti - si è argomentato.14
Il fatto che l’arte primitiva entri a far parte della questione coloniale non significa che l’arte dei popoli oppressi venga considerata in sé quale “risposta” all’oppressione; sono piuttosto i surrealisti ad indicare, e magari anche adottare15 quest’arte come “risposta” alla oppressione e all’attacco che quei popoli (e la loro arte) subiscono da parte di nazioni che, dopo averli sottomessi materialmente procedono a sottometterseli anche culturalmente mobilitando tutti i dispositivi al loro servizio (specialmente poi se tra questi ce ne sono di condivisi, come lo è la religione, appunto e ad esempio).
Oggetti di culti primitivi o oggetti di culto cattolici dovrebbero venir valutati applicando a tutti indistintamente gli stessi canoni estetici, antropologici, religiosi, sociali?
Ma questo è esattamente ciò che fa il fuoco!
A noi, invece, che siamo uomini e sappiamo differenziare ciò che ci si para dinanzi come uniforme, viene in mente che nelle culture primitive certe manifestazioni dell’opera dell’uomo (oggetti d’arte, di culto o di lusso che siano) possono ancora organicamente svolgere delle funzioni sociali determinate, mentre nelle società sviluppate ad un grado superiore l’arte e i suoi oggetti, la religione e i suoi apparati, hanno esaurito ogni loro originaria spinta evolutiva ed essere oramai d’intralcio ad ogni conseguente sviluppo della società (della specie) nella sua fase attuale.
E qui l’analogia tra arte e nazionalismo può tornare nuovamente utile.
Come per il nazionalismo (che in occidente aveva da tempo completato il proprio ciclo storico e sociale ma vi permaneva come un cadavere16, mentre nei paesi colonizzati era un fattore nuovo e vitale per l’emancipazione di quei popoli17) anche per l’opera d’arte (che in occidente ha guadagnato l’effimero, il danno e l’abbandono, e arriva esausta e oramai indifferente alla sua propria fine) non si può adottare un unico criterio di valutazione.  Così, ad esempio, essendo l’arte “selvaggia” estranea all’estetica occidentale dell’effimero, si deve riconoscere ai suoi prodotti lo statuto di oggetti unici e pertanto durevoli, e quindi da salvaguardare (soprattutto da parte di quelle nazioni che li saccheggiano) in quanto “rari e antichi reperti artistici appartenenti a quelle aree…18 dotati per noi di un innegabile valore scientifico, e (che) per questa ragione hanno perso qualsiasi dimensione sacra”.19
Eppure, nonostante un pronunciamento così chiaro, qualcuno non riesce proprio a credere che la religione e il sacro non c’entrino nulla; allora li fa rientrare a forza, sia pure come vittime e martiri sebastiani del disagio per la componente anticlericale del surrealismo! >

Ma per quale motivo nasconderla dietro l’anticolonialismo nel 1931, se in precedenza proprio il surrealismo l’avrebbe esibita volentieri?20
La risposta sarebbe da ricercare in ogni direzione immaginabile (antioccidentalismo, antireligiosità, ossessioni personali), tranne però che semplicemente nell’anticolonialismo e anticapitalismo apertamente dichiarato dai surrealisti.
D'altronde i cultori del sacro sono così avvezzi a vedere la realtà immediata come inganno da attribuire a tutti la pratica dell’impostura, di cui tra l’altro sono le prime vittime.
Consentite una digressione sul richiamo dei surrealisti alle osservazioni di Morgan su irochesi e hawaiani, utilizzate da Marx ed Engels nelle loro ricerche sull’origine della famiglia, che non conducevano certo per conto dell’antropologia ma per conto della prassi attuale e del futuro della specie; perché alla luce di questa semplice considerazione, l’altro (diverso-distante–ostile-ospite, ecc.) si svelerebbe come il medesimo preso in un determinato momento dell’arco millenario che lega l’uomo ancestrale al membro della comunità futura.
Allora lo specchio (antropologico) non sarebbe una superficie lucida che ri-flette il/sul sé (l’immagine fisica, personale e attuale, con annesso corollario sull’inconscio) ma la distanza traslucida (cronologicamente invertita, e non pervertita) che consente di “toccare” il noi stessi  di un tempo remoto,  tuttavia ancora  vivo e organico.

3.
“Come si fece con la loro arte, non venne detto (dai surrealisti) che la religione del popolo oppresso avrebbe dovuto essere dialetticamente messa in opposizione alla religione radicata in una economia capitalista”.21

Con ciò si crede di fornire un argomento in più per dimostrare che il vero bersaglio dei surrealisti non era il colonialismo ma la religione, soprattutto quella cristiano-cattolica, il suo clero e il suo Papa.
Ma, a parti invertite, l’opposizione tra religioni veniva già piamente praticata proprio dagli Stati colonialisti.
Difatti nell’Esposizione del 1931 assieme ai padiglioni delle nazioni, erano schierati anche quelli delle Chiese e delle Missioni cattoliche e protestanti.
Allora: in nome di quale tipo di “logica” i surrealisti avrebbero dovuto opporre religione a religione, clero a clero?
Forse in nome e in favore di quella logica prediletta ancora oggi da tutti gli Stati (ex-coloniali o ex-colonie), unanimi e concordi nel considerare che è sempre meglio mandar la gente a scannarsi per un dio qualunque piuttosto di rischiare la guerra sociale?
Il contro-argomento avanzato per mettere a disagio il surrealismo mostra qui tutta la sua assurdità.
In ogni caso, come spettava al surrealismo opporsi all’estetica occidentale (o al nazionalismo, al colonialismo, al capitalismo del proprio paese e dell’occidente), toccava alla popolazione spagnola fare i conti con la propria monarchia, la propria borghesia, il proprio clero, la propria arte.

“…non tutti gli incendi sono uguali. Qualcuno è positivo e altri sono negativi. Ma come si possono distinguere?”22

La domanda, che sembra sfidare il buon senso, vuole essere provocatoria?
Nel frastuono delle sirene dei pompieri ci è parso di distinguere l’eco di una certa condanna del “relativismo”, di apostolica provenienza.
I surrealisti non hanno causato né reclamato incendi “positivi” per le chiese spagnole; ad appiccarli ci ha pensato la natura stessa del conflitto sociale e politico; a loro non competeva che prenderne atto e, sistemando (storicamente) e valutando (politicamente) le circostanze in cui quei roghi divampavano, arrivare a distinguere (dialetticamente) fuoco da fuoco, falò da falò, oggetti sacri da oggetti sacri.
Rispetto poi al particolare incendio (negativo) del padiglione delle indie olandesi, a ben vedere i surrealisti neppure si addolorano troppo per la perdita delle opere d’arte che vi erano raccolte; è stata un’occasione in più per mostrare come il capitalismo, anche per mezzo di un rogo,  involontario ma rivelatore come un lapsus, divora e distrugge tutto ciò che intralcia l’espansione vulcanica del Capitale.

- I surrealisti hanno fatto una campagna contro l’Esposizione di Vincennes?... Il loro anticolonialismo è certamente un pretesto!
- “Il vero problema e la vera argomentazione sono da cercare altrove
”.23

E’ anche così che si svaluta chi ha preferito darsi da fare con il comunismo internazionalista piuttosto che con i sacramenti e le radici antropologiche dell’Europa.
In ogni caso tutti i “tipi” di sacerdoti possono adesso tirare un sospiro di sollievo al sopraggiungere di un rassicurante risveglio delle devozioni: “Senza dubbio una tale spietata ossessione anti religiosa sembra, almeno in parte,   superata” – conclude infatti il nostro brano.
Oggi però sappiamo bene con quanto vigore il clero spagnolo rientrò poi in patria viaggiando sulle ali delle guerniche tedesche e italiane per poter biasimare l’antireligiosità dialettica di allora.
Rimarrebbe ancora un’ultima faccenda da chiarire; quella che nasce fatalmente in chi, dopo essere stato vittima del dubbio, a sua volta prende a diffidare della sincerità di chi per primo ha dubitato che quei volantini surrealisti del 1931 non dicessero pane al pane, colonialismo al colonialismo.
Il vero problema e la vera argomentazione sarebbero forse da cercare altrove?
E in quale “altrove” cercare le vere motivazioni per proporre oggi un’indagine su quelle pubbliche dichiarazioni di anticolonialismo di allora?
Non ditemi nella filologia o nella storia dell’arte!
Perché complessivamente le argomentazioni adottate per confutare l’anticolonialismo dei surrealisti in quella occasione, ci sembrano vagamente ispirate ad una reattiva idea di integralismo pan occidentale, intesa ad estendersi anche all’arte figurativa… Allora, adesso che tutti i rapporti sociali capitalistici sono stati ampiamente esportati (dal signor Peel?) e non esiste angolo significativo dell’intero  pianeta che non sia sottomesso alle leggi del Capitale24 (così che all’ordine del giorno rimarrebbe solo la pura questione della fine del capitalismo stesso - che prima è meglio è) non sarà mica questo un modo come un altro per svalutare un determinato pensiero politico che, perfino al surrealismo (pensate! e addirittura!), non avrebbe portato niente altro che imbarazzo e scontento?


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Francis Picabia 1936-37, La rivoluzione spagnola, Museo Reina Sofía, Madrid
1 - Ma non essendo interessati a produrre e condurre polemiche personali, in seguito ci limiteremo a citare alcuni passaggi dal brano pubblicato, al  solo scopo di facilitarci l’esposizione e procedere nelle argomentazioni in completa autonomia.
2 - Che poi questo “qualcuno” sia Roger Caillois, la stessa Dennis Hollier o altri, è del tutto trascurabile ai fini di queste considerazioni.
3 - Cfr. D. Hollier
4 - Una ostilità che equivarrebbe ad un loro totale antiocci-dentalismo.
5 - Volantino Au feu, cit.
6 - D. Hollier.
7 - D. Hollier
8 - Affirmative Action - Una concessione di  privilegi applicata dai surrealisti a quest’arte come a tutto ciò che non “proviene” dall’occidente, dalla sua estetica, dalla sua antropologia… come pure dalla sua economia.
9 - D. Hollier
10 - D. Hollier
11 - Premier bilan de l’Exposition Coloniale. – Ci sarebbe da interrogarsi sulla posizione dei surrealisti, in questo determinato momento, nei confronti della falsa dottrina staliniana del “socialismo in un solo paese”, correlandola anche con la tattica dei fronti popolari adottata, da lì a qualche anno, proprio in Francia e Spagna.
12 - Laddove una simile posizione sarebbe del tutto scontata da parte di elementi colonizzati. E non si tratta di altruismo, ma di una rivendicazione per la propria libertà. Non a caso nella mostra sulla verità delle colonie campeggia il concetto che unisce il popolo l oppresso e quello oppressore alla medesima condizione di asservimento, quindi nel medesimo combattimento.
13 - D. Hollier -  “Logicamente” una “risposta” non può precedere la “domanda”: sarebbe una inversione della cronologia.
14 - Cfr. Hollier
15 - C’è in questo una soluzione e un superamento delle cronologie. Come nella teoria delle catastrofi, possiamo considerare questo rivolgersi al primitivo, al selvaggio, come un precipitare all’indietro per prepararsi meglio al balzo in avanti? Per tale orientamento si potrebbe valutare inoltre l’influenza della letteratura sull’argomento del comunismo primitivo nella storia e nell’antropologia non meno che in economia. L’indietro si è mostrato a volte ricco di opzioni per il futuro (come ad esempio il calcolo infinitesimale).
16 - …sempre buono per contenere, in tempi di crisi, il conflitto apertamente sociale fino alla rottura storica!
17 - E’ chiaro che oggi questo non vale più; adesso che tutta una serie di simili questioni si sono risolte e dissolte, nazionalismi o irredentismi si presentano ormai solo come lotte intercapitalistiche.
18 - Forse in quanto momenti irripetibili dell’infanzia stessa dell’uomo, che non può tornare.
19 - Premier bilan de l’Exposition Coloniale, cit. - L’azione, positiva o oppositiva, su oggetti che non si ritengono  più sacri, non può considerarsi antireligiosa. I surrealisti sono chiari in questo: noi ci rammarichiamo per il rogo dei cimeli del padiglione olandese perché è una perdita per la scienza di oggetti irripetibili, e, sempre scientificamente, esultiamo per il rogo delle chiese in Spagna e degli oggetti sacri che contengono. Entrambi hanno perso la loro dimensione sacra: i primi perché sottratti ai propri ambiti organici, i secondi perché secolarizzati e mercificati (riprodotti illimitatamente rispetto a totem e tiki). Nella controesposizione vediamo la statua di un negretto che se in francese ringrazia per la carità ricevuta, in italiano classifica sé stesso e tutte le paccottiglie che lo attorniano come merci, ossia  “feticci europei”, la cui tutela a oltranza sarebbe per l'appunto una manifestazione di feticismo (che i surrealisti – almeno in questo contesto critico - non abbracciano affatto, come dice Foster, cfr.).
20 - D.H. ha ricordato in precedenza diverse momenti in cui i surrealisti hanno manifestato e anche ostentato irreligiosità e anticlericalismo (Fine dell’era cristiana di Breton, lettere di Artaud al Papa e al Dalai Lama, Benjamin Péret che insulta un prete, Decorazione casalinga di Sadoul e Thirion).
21 - D. Hollier.
22 - D. Hollier.
23 - D. Hollier.
24 - E in questo senso la mappa del mondo surrealista del ’29 sembra, in parte, più rispondente alla realtà odierna, con le aree dei paesi oggi emergenti al capitalismo (non escluse Cina e Russia) enormemente superiori a quelle dei vecchi capitalismi, semplicemente afflitti da malattie, appunto, senili. Le “vie nazionali al socialismo” dell’atro ieri (o anche del terzo mondo di ieri) ci si svelerebbero oggi precisamente come “vie nazionali al capitalismo”.